Natale è alle porte. I commercianti – sebbene disorientati dal Ramadan dagli immigrati che scorrazzano a piede libero nel quartiere Ferrovia (!) – ne sono convinti. E corrono ai ripari, dando sfoggio di programmazione e lungimiranza. Servono dita delicate – conseguenti a spalle pazienti – che possano confezionare pacchi con motivi floreali, geometrici, spiritosi, benaugurali.
A ritmo d’un operaio di linea di Mirafiori.
Il negozio di dolciumi e rum di pregio in casse di rovere cerca una commessa con queste caratteristiche psicofisiche.
Un’impiegata a termine. Docile, buona, abile, rapida. Come la filippina nel retrobottega.
La proprietaria mi accoglie soddisfatta. È impegnata dietro al bancone, ma mi onora di dieci minuti della sua preziosa attenzione. Del resto, è lei che ha fatto richiesta d’avermi difronte.
Mi illustra il radioso avvenire, con dovizia di particolari.
In quel periodo – dice – il negozietto claustrofobicamente gonfio di mercanzie diventa frenetico. C’è viavai di clienti. E tutti pretendono una confezione consona. Lei non può, non potrà di certo, dato che avrà molto da fare a seguire le richieste, quelle ordinarie e quelle particolari, per le quali necessitano colpo d’occhio e competenza. Io dovrò – dovrei – occuparmi di chiudere scatole, agghindare buste, infiocchettare plichi, rigirare nastri con le forbici e sigillare con la cera lacca. Non solo. In alcuni momenti il viavai sarà tale e tanto, in barba alla crisi economica, che non potrò – potrei – limitarmi a questo. Ci sarà da fare altro. Dare una mano qua e là, una spolverata alla vetrina, un colpo di straccio ai banconi, una sistemata agli scaffali, una mano di Vileda ai pavimenti. E quando capiterà, un occhio ai clienti in attesa.
Tutto previsto. Nulla di più di quanto non chiedesse quel venditore di oggettistica etnica, nei pressi del mercato. La mia migliore faccia, quella diplomatica.
Chiedo: “E per tutto questo quanto percepirei?”.
La signora indietreggia, colpita come una nave mercantile finita nel bel mezzo di una battaglia navale. Un piccolo fulmine squarcia il cielo, come sul Golgota. Il rum ondeggia scosso nelle bottiglie di gran lusso. Il panforte non ha fegato per guardare oltre. Negli occhi della titolare s’è fatta notte. Scuote la testa, più delusa che frastornata. Se l’aspettava una richiesta così inconsueta. Ma nella sua innocenza mai avrebbe pensato che sarebbe giunta con tale spudorata arroganza, con tale cinismo. Vai a far del bene al popolo. Denaro, vile denaro, è tutto quello che questa gente senza spirito d’iniziativa sa chiedere. Monetizzare. Questa gentaglia monetizza tutto. Non ha più sentimenti, non ha più cuore. Ha ragione Ratzinger.
“Beh... se parti così mi tagli le gambe”, non può che dire.
E bisogna comprenderla. Il colpo è stato forte.
Nella mia infinita grettezza materialista non sono riuscita a vedere aldilà delle apparenze. Non ho percepito, come altri asceti avrebbero fatto, l’importanza di quella mansione. La gioia mistica del servire, l’incomparabile beatitudine del rendersi utili, il dolce sapore onirico del lustrare le superfici lavabili. Sono andata al sodo, in un mondo candido e romantico che prova aristocratico disprezzo a parlar di mercede. Maledetta me e la mia genia incolta!Avrei dovuto inginocchiarmi dinanzi a cotanta umiltà, sentire nel profondo la responsabilità, l’impegno e la possibilità che quella donna mi offriva. Così, gratuitamente.
Ed invece ho rincarato la dose.
“Ma perché, signora, cosa credeva, che venissi a lavorare per divertimento? Non ho più diciotto anni, non posso più accontentarmi della paghetta o di una pizza il sabato sera. Devo valutare se mi conviene”.
Parole bestiali pronunciate con fare da bestia. Dinanzi alle quali la titolare ha visto scorrere i suoi anni passati in letizia, a donare lavoro senza concreta contropartita.
“No, no, no... Lasciamo perdere allora. Io ho bisogno di provarti, di vedere come lavori”, mi ha detto. E mi ha salutato, con una punta di sofferenza nel cuore.
Uscendo da quel vestibolo di paradiso terrestre, non ho potuto fare a meno di riflettere.
Di pensare a quante diciottenni idealiste – a ritmo di una a settimana – infiocchetteranno pacchetti al posto mio, da Halloween alla vigilia della Natività. Riponendo in ogni riccio col nastrino rosso gocce di quell’innocenza allegra che a me manca del tutto.
venerdì 19 ottobre 2007
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2 commenti:
Assurdo pensare che nel 2007 ci siano ancora questi schiavisti...
diciamo anche che è assurdo pensare che nel 2007 non ci sia più capacità di riscossa...
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