martedì 9 ottobre 2007

Contro la precarietà delle nostre vite, Riaccendiamo il conflitto

Ci sentiamo in obbligo di rassicurare un po’ di persone. Premier e ministri del lavoro di destra o progressisti con giudizio, analisti finanziari e direttori di centri studi economici, governatori di banche e giornalisti di Sole 24 Ore o Corriere della Sera, intellettuali liberal già marxisti e predicatori del darwinismo sociale, cinici confindustriali o sindacalisti coscienziosi.

Noi, alla nostra condizione di precarietà, non ci rassegneremo mai.

Mettetevelo bene in testa una volta per sempre. Non ci stiamo ad offrire le nostre vite a vantaggio esclusivo dell’arricchimento e del benessere delle classi dominanti. Non saremo noi a pagare il risanamento dei conti pubblici o di imprese sull’orlo del fallimento. Non offriremo il nostro fiato ad un capitalismo moribondo, assistito e parassita, dedito alla finaziarizzazione dell’economia e ai giochi speculativi consumati sulla pelle di milioni di uomini e donne, senza alcun obiettivo di crescita sociale.

Non è solo questione di flessibilità o Legge 30. Oggi la precarietà segna non solo il lavoro ma per intero le nostre vite, di occupati e disoccupati, di nativi e migranti. Per queste ragioni non ci interessa alcuna forma negoziale, nessun tampone legislativo messo alla buona da chi ha aperto il baratro lungo il quale siamo costretti a camminare. Né ci interessa la tutela di chi ad ogni rivendicazione o aumento salariale ha ceduto sul piano della flessibilità e della precarietà, che da optional è diventata unica forma possibile di impiego.

Siamo stanchi di essere considerati un mero dato statistico, forza-lavoro oltremodo flessibile, che accetta – soprattutto se è giovane o immigrata – di lavorare per salari minimi o anche gratis, nella speranza di una futura assunzione; o di lavorare solo quando il suo “datore di lavoro” ne ha effettivamente bisogno; di poter essere licenziata da un momento all’altro; che si rassegna alla pratica del lavoro interinale e dei salari regionalmente differenziati; di condizioni di sicurezza, igiene, orari sotto lo standard legale. Nessuna strada di liberazione arriva nemmeno dal lavoro autonomo, dove il popolo delle partite Iva si autoimpone livelli di sfruttamento che mai accetterebbe all’esterno.

Dietro le parole flessibilità e precariato si celano vite in carne e ossa, sofferenze e dignità offese, ricatti e sfruttamento. Nella società che ha eretto a proprio Dio il lavoro, il lavoro sta diventando raro come l’aria respirabile nelle città. I figli di, poche elité che hanno accesso ai sempre più costosi network del sapere, gli immancabili raccomandati. Per essi la strada è spianata. Gli altri non potranno mai aspirare ad un posto al sole e finiranno ai margini della società, con un’unica funzione, quella dell’esempio deterrente. Il fine, come da regola base del capitalismo, è mettere gli esclusi davanti all’alternativa: lavorare a qualsiasi condizione o morire di fame. Accettare il ricatto pena l’apartheid sociale, il marchio di “fallito”. Una costrizione silenziosa che prova a spegnere ogni focolaio di conflitto o di resistenza. Perché ad occuparsi degli esclusi della magnifica e progressiva società del lavoro, di questa “immondizia umana”, è chiamata la polizia.

La distruzione delle tutele sociali, del welfare statale, la restrizione nell’accesso ai diritti minimi di cittadinanza –la casa, l’istruzione, il sapere – non fa altro che gettare buona parte degli esclusi e non solo nella barbarie di una concorrenza cannibalizzata che allontana da ogni prospettiva di emancipazione, di libertà.

Tecniche di dominazione sociale alle quali ribellarsi non solo giusto è ma necessario.

Quel che ci interessa è soffiare sul fuoco di pratiche alternative e conflittuali. Ci interessa che dal divario tra i pochi ricchi e i sempre più poveri possano rinascere la lotta. Ci interessa che la lotta non finisca strumentalmente imbrigliata, depotenziata, delegittimata. Vogliamo che a pagare i costi della Crisi sia il padronato, chi ha vissuto di rendite di posizione in tutti questi anni.

Vogliamo reddito per tutti, lavoro o non lavoro. Vogliamo il diritto all’abitare e al canone sociale. L’adeguamento di salari e stipendi al costo reale della vita. Vogliamo la tassazione delle rendite finanziarie. Vogliamo la tutela della salute e la libera e gratuita circolazione dei saperi, contro ogni forma di aziendalizzazione di scuole e università. Vogliamo un forte potenziamento delle politiche sociali, la cancellazione della Legge 30 e anche del Pacchetto Treu, la chiusura dei Cpt, il diritto di asilo per i migranti.

Chi pensate potrà venire incontro a queste richieste? La risposta ce la diamo da soli: nessuno. Occorre allora rispolverare vecchie parole d’ordine, per una nuova lotta di classe. Senza guardare in faccia a chicchessia. Come occupati precari o flessibili, disoccupati, studenti, lavoratori a nero, rilanciamo l’unica strada possibile, l’autorganizzazione. Per un impegno e una politica che parta dal basso, da ognuno di noi, per un cambio radicale del sistema, senza deleganti e delegati.

Riprendiamoci tutto, a partire dalla nostra dignità.

2 commenti:

CambioTurno ha detto...

prova

CambioTurno ha detto...

Contributi per i "bamboccioni". Tra gli interventi contenuti nella Finanziaria 2008, il ministro dell'Economia ha confermato che la manovra prevede anche un provvedimento che permetterà di mandare fuori dalle case dei genitori quelli che Padoa-Schioppa chiama i "bamboccioni". La norma proposta dal governo offrirà un sostegno economico ai giovani che cercano casa in affitto. Una soluzione alternativa alla permanenza in casa con mamma e papà ben oltre la maggiore età.
Meraviglioso, ho pensato, per un'attimo ho cominciato a fantasticare: non avrò più bisogno di chiedere soldi ai miei, ma dai, una casa "mia"...
poi continuo a leggere, per capire i parametri...
La finanziaria prevede a tal proposito degli aiuti economici ai ragazzi dai 20 ai 30 anni
...e fin quì ci rientro...
quali potranno usufruire di detrazioni fiscali
...?...
sugli affitti, circa 495,8 euro in tre anni se il reddito complessivo supera i 15.493,71 euro ma non i 30.987,41 euro, mentre per coloro che hanno un reddito inferiore ai 15.493,71 euro, la detrazione sarà di 991,6 euro (sempre in tre anni).
...reddito?...cosaaaa?
faccio la baby-sitter per mettermi un pò di soldi da parte, ho fatto la commessa nel solo periodo di Natale, la cameriera i fine settimana, la dog-sitter d'estate, non mi manca neanche l'esperienza distruttiva in un call center: rientro perfettamente nella norma considerando anche che ho 26 anni e vivo ancora con mamma e papà. Ma da quì a parlare di reddito ce ne vuole.
Così mi rendo conto che oltre ad essere costretta a rimanere a casa con i miei ancora per non so quando, facendo due calcoli l'aiuto previsto è davvero ridicolo, senza parlare poi dei redditi che rientrano in una categoria di lusso.
Ripensandoci bene non c'è niente di che meravigliarsi!
ceska.