lunedì 19 novembre 2007

Un eroe dei nostri tempi - Storia di un refuso esemplare

Una vita da mediano / Che natura non ti ha dato / Né lo spunto della punta / Né del 10 che peccato / Lì / Sempre lì / Lì nel mezzo / Finchè ce n'hai stai lì (Luciano Ligabue)

Sì, Ildefonso De Peregrini è un eroe dei nostri tempi. Quelli che celebrano gli arrampicatori, i furbetti dalla doppia morale, quelli col culo parato dal padrino politico. Di sicuro è uno a cui è cresciuto il pelo sulla pancia una decina d’anni prima che gli spuntasse sulle guance. Merito delle frequentazioni fin dalla tenera età in quel di via Lecce, dove aveva sede la federazione del fu PCI, fu PDS, fu DS (ad oggi le Pagine Gialle non ancora ci comunicano quale sarà la dimora del neonato Partito Democratico).

La pasta, intendiamoci, non è quella degli eroi per caso: mica si possiede per anomalia genetica quella capacità propria del mondo animale (nello specifico delle testuggini) di sviluppare uno spesso carapace in grado di tenere la coscienza e la dignità (che non è detto sia innata, su questo sono in corso studi approfonditi) ben lontana dal corto circuito tra teoria e prassi che si sviluppa all’esterno. Nella vita quotidiana. No, occorre tanto allenamento, predestinazione, propensione alla servitù. Solo così si arriva, come nel caso specifico, a misurare la distanza tra quel che si asserisce di essere e quel che si è davvero, con meridiani e paralleli.

L’enfant prodige (oramai non più infante, ma sicuramente prodigio) della sinistra post comunista foggiana, comincia la sua trafila come si compete agli imberbi nella Sinistra Giovanile. S’agita e si dimena fin da subito, e la presidenza provinciale del sodalizio è il giusto riconoscimento (ma non pensiate che i dirigenti adulti abbiano dovuto pescare da un ampio mazzo: quelli, i giovanotti, mai più di dieci sono stati. Realmente…).

Fa da testa di ponte per la Quercia dentro l’università: s’avvicina all’UdU, che di accasarsi con il partito non ne vuol sapere e trova ospitalità in casa Cgil, ma si candida alle elezioni dei rappresentanti studenteschi per una sigla messa su in quel di Bari, “Sud”, acronimo di un banalissimo “studenti universitari democratici”, lista battezzata sempre dai Ds. Che il ragazzo puntasse ai piani alti e alle poltrone che contano fin da subito lo si capisce in quel momento. Nessuna gavetta intende fare il nostro, nessun passaggio per i banali consigli di facoltà, la candidatura è al Consiglio di Amministrazione, ai tempi in cui ancora vigeva la “gemmatura” con la sede di Bari. Prende 400 voti (non tutti suoi come spaccerà in seguito ma merito dell’alleanza tra liste) e li farà pesare sul magro piatto della bilancia diessina, che a Foggia prende pugni in faccia da sempre a vantaggio delle “piazze rosse” della provincia.

Sempre non a caso il nostro eroe si lega ai maggiorenti del partito: diventa consuetudine, mentre i suoi pari età poco più che ventenni affollano pub e pizzerie, vederlo a sera tardi, giacca e cravatta d’ordinanza, uscire dalle stanze che contano al fianco di gente del calibro di Dino Marino, per anni segretario a via Lecce. Non lascia i suoi studi a Giurisprudenza, ma la politica è il primo amore. Sgomita sgomita, approfitta del buco nero nella militanza giovanile diessina per sbarcare alla segreteria della storica sezione “Gramsci” di via Lucera, dove fa le scarpe a Peppino Durso, vecchio marpione scuola PCI che per beghe interne prende il largo verso le sponde della Margherita.

Al nostro non sono risparmiate candidature importanti, ma sempre da riempilista, dal Comune fino alla Camera. Partecipa a dibattiti televisivi dove fa il verso ai dirigenti nazionali, ridicoli ventriloqui del nulla espanso che s’ascolta nei salotti stile “Porta a Porta”. C’è chi giura d’averlo sentito citare una volta l’abominevole allocuzione “crostata di casa Letta”, richiamo all’intesa che la destra raggiunse nella dimora del fido scudiero di Berlusconi per “truccare” la legge elettorale nel 1997. Non si lascia scappare nemmeno la stagione “travagliana” e “dipietrista” di sostegno ai magistrati, contro la corruzione della politica. Risulta tra i paladini di convegni che ospitano illustri toghe manipulite, come Gherardo Colombo.

La politica dei palazzi, lo sapete, non offre valori ma un stabile impiego. Così anche la nomina nella segreteria cittadina dei Ds nulla vale rispetto a un tranquillo posto da impiegato pubblico. Alla Provincia la sinistra governa da sempre, così per una decina di giovani che sul proprio curriculum possono vantare quel che più conta, le giuste ammanicature, s’aprono le porte di una “borsa lavoro”, istituto giuridico inventato su due piedi per ficcare dentro in attesa di stabilizzazione portaborse e “figli di”. In culo ai tanti laureati e non dal cognome sconosciuto, il nostro eroe risulta tra i beneficiati e in barba alle preziose mansioni che avrebbero dovuto svolgere, Ildefonso finisce a dirigere la segreteria dell’assessorato ai Lavori Pubblici, gestito dal compagno di partito Antonello Summa da Cerignola.

Ma poi succede che –clamoroso al Cibali!- il centrosinistra riesce a vincere le amministrative nel fortino fascio-bigotto della città capoluogo, grazie alle macerie che lascia dietro di sé come un tank americano l’ex sindaco di An, Agostinacchio. E allora la galassia delle poltrone si moltiplica: assessorati, aziende speciali, Cda… Vuoi vedere che? Ebbene sì, Ildefonso, forte dell’esperienza che gli deriva dall’aver pagato per ben due volte alla posta la bolletta del gas, viene indicato dai Ds per un posto di consigliere d’amministrazione all’Amgas, la ricca municipalizzata dal ricco gettone di presenza.

Non è di minore interesse il fatto che il nostro è beccato anche tra i pochi fortunati in fila all’ingresso del Teatro del Fuoco per lo spettacolo delle polemiche di Antonio Cornacchione, quello con i biglietti esauriti un secondo dopo l’apertura dei botteghini, tutti accaparrati dal jet set politico che a stare tra le prime fila mentre il comico spernacchia l’Italia berlusconiana non rinuncia. Fa niente se tra le oligarchie parassitarie e striscianti vi siano anche loro, che organizzano spettacoli con soldi pubblici a vantaggio dei soliti intimi: portaborse, lacchè, ancora parenti e affini.

Arriviamo all’oggi: alla Provincia in data 5 novembre mettono giù una delibera che chiama ad alta voce Corte dei Conti e magistratura per quanto puzza di bruciato. Nel calderone delle stabilizzazioni da fare entro il 31 dicembre, finisce che gli storici ex Lsu, al lavoro da dieci anni, si beccano una “pre-stabilizzazione”, part time a 18 ore. Mentre per il nostro eroe e gli altri ex borsisti baciati dalla grazia di un illustre padrino, scatta l’assunzione a tempo indeterminato. O così, prevede la Finanziaria, o il 31 dicembre sono sulla piazza.

Solo che non è finita: il giorno dopo la delibera provinciale, il Comune di Foggia riassetta il CdA dell’Amgas, che da 7 si restringe a 5 poltrone. Tra i giubilati, Ildefonso. Ma non pensate si tratti di una bocciatura. Per lui è pronto addirittura il posto di presidente dell’Amgas Blu, la società della holding specializzata nella vendita del gas.

La morale la lasciamo ai preti e ai loro pulpiti domenicali. Conosciamo l’andazzo e per questa ragione spingiamo per l’autorganizzazione, per la politica dal basso. Per questa ragione invece di votare sputiamo in faccia ai rappresentanti del popolo bue. Volevamo solo rendere omaggio ad un eroe del nostro tempo, monumento vivente al fare parassitario a danno degli ultimi, di quelli senza santi in paradiso. Ricordatevi di questo nome quando, e prima o poi accadrà, verrà a chiedervi un voto per “cambiare il paese”.

lunedì 12 novembre 2007

Sulla paga non si fiata

Sono distratto. Dal video acceso figurine fanno salotto. Amabilmente. “Cominciamo bene”, Rai Tre, qualche giorno fa. Mi concentro sulla distinta, rampante silouette della signora più ciarliera. Ha l’aria di chi è profondamente convinto di ciò che dice. E quel che dice assume i contorni del verbo incarnato. Faccio maggiore attenzione, scopro dettagli. È la responsabile di un’azienda che non ho capito, con molti anni di esperienza sul groppone. È un’esperta di risorse umane, una selezionatrice di personale. Mi viene in mente la protagononista dell’ultimo film di Ken Loach. Ma questa non ha l’aria sfatta di chi è nottetempo incappata nei suoi lavoratori precarizzati. Risponde a interrogativi distesi come tappetini, con lo charme di certe aristocratiche che narrano al volgo i precetti dello stare in società. Parla di individualità flessibili come se parlasse di posate d’argento e servizi di piatti decorati. L’estetica e la sostanza del Nuovo Galateo professionale. Spiega come ci si comporta ad un colloquio di lavoro, come si compila un curriculum vitae. Al quesito: “Ma a chi tocca parlare di soldi? Al candidato o al datore di lavoro?”, mi posiziono sulla sedia come se fosse la poltroncina di un aereo in decollo. So che sta per arrivare la risposta più significativa di tutte, e apro le orecchie mantenendomi ai braccioli. La signora fa una smorfia che è tutto dire. Poi sancisce, senza tema di smentita: “Il candidato non deve mai parlare di soldi”, sottintendendo che sarà il buon padrone a farlo, a tempo e luogo debito. La sedia s’alza in volo. Lo sapevo. È in linea: i proprietari di bottega, i responsabili delle multinazionali, i commercianti al dettaglio hanno padiglioni auricolari troppo teneri per simili sconcezze materialiste. Vorrei telefonare, come certi pensionati, dire in diretta alla dispensatrice di perle di buone maniere cosa pensano quelli come me di quelli come lei. Ma non esiste linea diretta. E desisto. Il comandamento ha preso piede. I lavoratori, queste strane bestie informi, devono perdere la cattiva abitudine di informarsi sulla mercede.
A sera sono in centro. Ragazzi e ragazze pigolanti sciamano da un locale all’altro.
Io sono in un pub, al bancone. Ma non per ordinare una Leffe.
Ho appena chiesto un impiego part-time. Fuori c’è il cartello – cercano personale – e il titolare è pensoso. Mi sta squadrando. Analizza i miei sopraccigli. Mi domanda se ho voglia di lavorare. Eccome, mi verrebbe da rispondere, è la mia massima aspirazione servire birre agli sfaccendati figli di papà o agli intellettuali “in” della Rive Gauche foggiana. Annuisco. Mi chiede se ho precedenti esperienze. Gli faccio l’elenco dei mozziconi di gloria raccattati in giro, in questi anni di trasformazione liberale. Resta diffidente, sulle sue. Mi confida che molta gente con le mie stesse credenziali ha preso il largo appena ha potuto. Che tutti garantivano fedeltà e massima disponibilità, da principio. Ingrati, penso, si deve essere proprio ingrati per rifiutare un posto così...
Si scuote. Il colloquio sembra finito. Lo è. Mi saluta e garantisce che mi farà sapere. Ha il mio numero. Ma prima di vedermi di spalle all’uscita si sente in dovere di gratificarmi, di donarmi qualche seme di speranza. Mi conforta: “Hai buone possibilità comunque, perche è apprezzabile il fatto che non mi abbia chiesto quanto pago...”.
Sorrido confortato. Esco soddisfatto. Ebbro di gioia.
Il vademecum del perfetto monaco obbidiente ha fatto scuola.

martedì 6 novembre 2007

Dai palazzi della politica uno sputo in faccia ai precari. Quelli veri

A gennaio 2004 l’Anonima Fratellanza di Jacob affisse dei manifesti in cui dava alla città la lieta novella: “A Foggia la disoccupazione non esiste”. Certo, si trattava di un evento negato ai comuni mortali, ai precari senza santi in paradiso o pezzi grossi in famiglia.

Quasi quattro anni fa l’Amministrazione Provinciale decise di inventarsi un istituto giuridico, quello della “borsa lavoro”, per assumere senza alcuna selezione ad evidenza pubblica alcuni figli, parenti, amici di qualche ras della politica, di destra come di sinistra. Manifestammo il nostro disprezzo verso “disoccupati fortunati” e verso i loro padrini, annunciando come questi rapporti precari altro non erano che l’anticamera di una futura assunzione a tempo indeterminato.

Siamo stati facili profeti, con il callo bello spesso alle furberie dei rappresentanti del popolo bue, che reclama moralità ma fa la fila per rubare il posto ai raccomandati di cui sopra. Il 6 novembre il Consiglio Provinciale ha approvato la stabilizzazione dei borsisti, oggi ridottisi al numero di otto. Verranno assunti entro il 31 dicembre full time e a tempo indeterminato. Tra i fortunati vincitori:

Alfonso De Pellegrino, segretario di una sezione foggiana dei defunti DS, con un posto già ben remunerato nel Consiglio di amministrazione dell’Amgas (insaziabile, il ragazzo…);
Alessia Morlacco, figlia di Vincenzo, sindaco di centrosinistra a Lucera e segretario generale della Provincia (cioè colui che ha vergato di legittimità le delibere di assunzione di ieri e di oggi);
Elviranna Susanna, moglie di uno dei figli di Vincenzo Morlacco (e tanto basta);
Vito Cristino, figlio di un alto dirigente della Regione Puglia;
Omar Prezioso, figlio di un dirigente della Provincia;
Michele Cicoria, figlio del capo degli autisti di Palazzo Dogana;
Alessandro Ursitti, parente del segretario generale della Fiera di Foggia e dirigente di Forza Italia.

Ci avevano già provato a far passare la frode delle assunzioni a tempo indeterminato sotto le mentite spoglie di una selezione pubblica, lo scorso anno. Era stata già approntata la commissione valutatrice e redatta la delibera. Si fermarono per contrasti interni alla maggioranza. Solo che le norme previste nell’ultima Finanziaria hanno accelerato il percorso: assunzione entro la fine dell’anno o licenziamento. Mai avuto dubbi su cosa optassero…

Gli assessori della Provincia parlano di precari che era giusto stabilizzare, per giustificare l’ingiustificabile. Ma l’assunzione degli otto prescelti (assieme ad altri 120, tra questi ex Lsu e altri fortunati entrati negli anni passati sempre grazie alla benedizione del padrino di turno, ma stabilizzati solo part time) è un vero sputo in faccia ai veri precari, tanti giovani costretti per redditi da fame ad accettare il ricatto dello sfruttamento, l’umiliazione lavoro nero, senza il benché minimo diritto o tutela. Anche a morire, come accade in tanti cantieri edili o aziende non a norma.

Noi diamo voce a questi ultimi, ai veri precari, e volentieri restituiamo al mittente lo sputo in faccia, ribadendo tutto il nostro disprezzo, sempre montante.

E a chi ancora è convinto che da questa gente possano arrivare risposte per il diffuso disagio sociale che vivono i “senza padrini”, i senza “pezzi grossi” in famiglia, l’invito –ieri come oggi- è a fare come noi: NON VOTATELI, SPUTATEGLI IN FACCIA!

Anonima Fratellanza di Jacob